Il Giardino dell'Eden

Foresta Pluviale (New York, USA, 1981)

J. C. aveva un sorriso timido che tradiva una specie di pace interiore. Ci era nato cosi', come diceva una mia cara amica. Era Italo-Americano di terza generazione, amava la musica Motown, e viveva vicino alla stazione della metro della 123sima strada, in Harlem. Non parlava molto, ed era una compagnia piacevolmente calma.

Quella era la prima volta che visitavo New York. Uscii dal terminale dei bus nella 40sima strada intorno alle 10 di mattina, e decisi di camminare sino alla 123sima strada: un taglio longitudinale attraverso cuore pulsante di New York. Ho sempre amato attraversare a piedi citta' che visitavo per la prima volta, da un'estremita' all'altra. Credo sia un buon modo per capire di cosa la citta' e' fatta, una maniera di conoscere basata su un percorso casuale piu' che su una nvestigazione metodica. Visitare attrazioni turistiche, musei e caffe' del centro e' forse efficiente, ma lascia fuori l'anima di un posto, ed elimina ogni possibilita' di essere sorpresi, di scoprire qualcosa di unico e sconosciuto. Ma la maggior parte della gente non ama le sorprese, e non e' interessata dall'anima di una citta'.

Ci misi sei ore per arrivare dalla stazione degli autobus nella 40sima alla 123sima strada. Camminavo molto lentamente, osservando i colori e ascoltando i suoni della citta che cambiava sotto i miei occhi, dalla ricco centro, al quartiere portoricano, alla nera Harlem. Potevo annusare le difference nei cibi. Potevo ascoltare l'accento cambiare. Venendo da San Francisco, la maniera di fare diretta di New York colpiva particolarmente. Avevo la mia macchina fotografica tra le mani, ma non scattai una singola fotografia. Ero troppo occupato a registrare nella mia testa una magnifica immagine emotiva ricca di colori, suoni e odori. Una immagine ancora vivida e viva in questo momento, qualcosa che purtroppo posso solo descrivere sommariamente ma non saro' mai in grado di condividere. Nessuna macchia fotografica, non importa quanto buona, riuscira' mai a lavorare in questa maniera.

Ricordo che arrivai alla 123sima strada, mi sedetti in un negozietto, ordinai un taco e un caffe, e chiamai il mio amico dal telefono a gettoni: mi stava aspettando in centro, e mi disse che avevamo un party nel Greenwich Village in serata. Dovevo tornare indietro al punto di partenza, anche se questa volta presi la metro.

Non ricordo molto del party, ma il giorno dopo mi svegliai con cerchio alla testa. J. C. propose di andare con lui al suo posto di lavoro, e io accettai, pur non sapendo che lavoro facesse, ne chiesi. Decisamente non avevo voglia di camminare, e c’era il mal di testa. Arrivammo alla Davis Hall, della NYC University, entrammo attraverso la grande entrata e prendemmo l’ascensore all’ultimo piano. Di li, con mia sorpresa, prendemmo le scale sino al tetto. JC apri una pesante porta di legno, io entrai e rimasi sconvolto, pietrificato, esterrefatto. Ero nel giardino dell’Eden. Sulla mia sinistra, una foresta pluviale tropicale, con orchidee selvatiche che pendevano dai rami piu’ alti degli alberi. Sulla sinistra una macchia mediterranea con fantastici ginepri nani e cespugli di rosmarino. E giusto di fronte ai miei occhi una sontuosa foresta di conifere nordamericana. Decisamente non potevo credere ai miei occhi. Per un momento pensai che il mio mal di testa era causato da qualcosa di peggio di un paio di bicchieri di troppo. Mi chesi cosa fosse accaduto in effetti la sera prima, ma non ricordavo. Cio' che vedevo doveva essere una allucinazione, pensai. Ma non era cosi’. Il lavoro di J. C. , mi spiego candidamente, era di prendersi cura delle serre della NYC University, un giardino pensile babilonese sul tetto di un edificio vittoriano nel bel mezzo di NY. J. C. gentilmente mi fece visitare le serre, le sue orchidee favorite, le trappole per topi (a NY i topi possono salire sui tetti di qualunque grattacielo), e il suo angolo preferito, dove gli era permesso di far crescere tutto cio che piu’ gli piaceva. C'erano pomodori, peperoni, e melanzane. Prese un pomodoro, lo annuso’, lo affetto, e lo mangiammo assieme. “I pomodori che si comprano ormai non hanno piu’ sapore” mi disse. Mangiammo in silenzio, assaporando ogni parte di quel miracolo.

Spesi 10 giorni a NY, e 8 dei 10 giorni furono passati completamente nella serra. J. C. mi disse innumerevoli volte che avrei dovuto andare in centro, visitare musei, fare acquisti. Rifiutai di seguire il suo consiglio. Spesi il mio tempo mangiando pane e pomodoro nell’accogliente umidita’ della foresta pluviale sotto un albero di banano, guardando alternativamente la macchia mediterranea e le foresta nordamericana. L’universo era stato rimpicciolito in un guscio di noce. E ogni volta che JC suggeriva che stavo sprecando il mio tempo, rispondevo “non e’ una perdita di tempo, amico mio, affatto...

No comments:

Post a Comment